venerdì 6 febbraio 2009

MILK (2008) di Gus Van Sant – durata 128’

Nell’invito che vuole essere questo articolo a vivere le forti emozioni che le due ore di questo film regalano, ho scelto di non raccontarvene la storia, perché possiate goderne in prima persona, ma anche perché l’intento non è di fare critica cinematografica, sulla quale comunque non sarei competente. Vi basti sapere che è la storia di un uomo, Harvey Milk, che ha dedicato la “seconda parte” della sua vita lottando per il riconoscimento della diversità, che qui è espressa dall’orientamento sessuale, ma potrebbe essere declinata per qualsiasi altra sua espressione.
Un aspetto però mi sembra importante sottolineare: la comune reazione di stupore nello scoprire quanto gli eventi descritti siano così tremendamente vicini nel tempo. Solo trent’anni sono passati dalla richiesta di visibilità e dalla lotta per il riconoscimento del diritto alla diversità di orientamento sessuale negli Stati Uniti d’America; non stiamo parlando degli anni successivi alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, ma della fine degli anni ’70, anni nei quali ancora si discuteva sulla necessità di abrogare le leggi sui diritti civili ai gay.
Molti altri spunti di riflessione possono essere colti, per questo Milk andrebbe non solo visto ma rivisto più volte; cito, perché mi ha colpito in quanto donna, la discriminazione, travestita da diffidenza, nei confronti delle lesbiche o comunque la loro scarsa visibilità all’interno del movimento, minoranza nella minoranza, credo almeno inizialmente.

Torno alle emozioni. Milk è un film che commuove, perché parla di passioni, quelle che scaldano il cuore e che trascinano con la forza di un fiume in piena.
Piacerebbe identificarsi con Harvey Milk, avere la stessa commuovente lucidità e genuinità nella difesa dei diritti, che mai sono solo personali (da cui comunque sempre si parte), per esprimere la stessa coerenza, per far emergere la volontà di spezzare l’omertà ed il disinteresse e la vergogna. E di Harvey si ammira la capacità di accogliere, di donarsi, di soffrire fino alle estreme conseguenze. Ma il coraggio di quest’uomo non si misura tanto (o non solo) nel morire, ma nel aver saputo vivere per/con ideali e trasmetterli nel modo più dirompente, perché più umano.

Ma Milk annuncia con forza anche la Speranza, parola che spesso ricorre nel film, parola che anche più spesso oggi si teme di usare, forse quasi per superstizione o per le delusioni che ha subito nella sua storia millenaria. Ma la speranza di cui si parla è laicamente pronunciata, gridata da Harvey Milk con quel suo sorriso disarmante che infonde fiducia e rivela che egli ha “reclutato” anche noi, che in fondo anche noi possiamo anzi dobbiamo impegnarci per un mondo “diverso” e per questo sicuramente migliore.
In questo senso MILK può essere letto anche come invito alla partecipazione, ad entrare nel sistema per tentare di cambiarlo dall’interno. Una scommessa che non (o non tutti) siamo disposti ad assumere come nostra, presi nella ricerca di un benessere non tanto personale (primario e dunque legittimo), quanto individuale, esclusivo, nel senso che esclude l’interesse per il benessere degli altri.
Però, credo che nell’imbattersi nell’impegno di Harvey Milk, qualcosa (forse la speranza!?!) abbia gridato nel petto di ognuno di noi; e allora possiamo quasi toccare questa speranza che finalmente diventa realtà, si materializza davanti ai nostri occhi: nella folla di manifestanti giustamente arrabbiati, ma felici di aver finalmente la possibilità di uscire allo scoperto, di essere finalmente se stessi, perché, come Harvey ripete all’inizio dei comizi, li ha reclutati tutti. E diventa realtà nella fiaccolata finale di commemorazione, ma anche e soprattutto nelle vicende personali, nell’impegno successivo degli amici, degli amanti, di coloro che hanno saputo condividere con lui la passione e la speranza.
L’ultima parola credo allora spetti di diritto alla diversità, da accogliere consapevolmente come caratteristica fondante e costitutiva nella propria vita, diversità che va al di là dell’orientamento sessuale.
Così speranza e l’amore diventano il messaggio e l’eredità di Harvey Milk, la spinta ad accogliere in prima persona e poi uniti la sfida di costruire una società diversa e perciò equa che sia patrimonio comune e condiviso. E anche se la strada è ancora lunga, Harvey Milk ci dice e promette: “I’ll never go back”.
...................la recensione è stata curata da Stefania, prossima autrice che contribuirà a dare slancio al nostro blog!

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