L’adozione della legge 328/2000 cosiddetta “ legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, costituisce una tappa importante nel nostro ordinamento, sia perché per la prima volta prende forma una legislazione nazionale sul questo tema, sia perché individua la famiglia nel suo complesso quale soggetto di politiche sociali.
Sull’opportunità di un nesso tra politiche sociali e protezione della famiglia si è già più volte soffermata la corte costituzionale, ad esempio nel 1985 per rivedere la legge n. 903 del 1965, nella parte in cui non prevede per il titolare di pensione, una maggiorazione della pensione nel caso abbia fratelli e sorelle inabili al lavoro, ciò per favorire l’omogeneità familiare.
Fino alla legge 328/2000 le politiche nei servizi sociali destinate al nucleo familiare, non riguardavano le relazioni familiari ma erano politiche previdenziali, fiscali, della scuola, del lavoro e così via.
Anche a livello europeo non è ancora configurabile una politica sociale comune e non esistono obblighi comunitari che impongono ai paesi membri vincoli di politica legislativa, come conferma l’art. 152 del trattato di Maastricht che sancisce una riserva di organizzazione in materia di protezione della salute in capo agli stati membri, la coesione tra gli stati europei non è ancora arrivata ad un livello tale da consentire l’individuazione di un popolo europeo.
E per quanto riguarda i diritti sociali queste divisioni appaiono più evidenti, in quanto proiezioni di patrimoni culturali e storici diversi, così mentre l’Italia la Germania e la Spagna assegnano ai diritti sociali lo statuto di diritti fondamentali, la Gran Bretagna li considera semplici obiettivi da raggiungere.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nell’ art. 33 (intitolato Vita familiare e vita professionale), recita: “è garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico economico e sociale; al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale ogni individuo ha il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità, e il diritto ad un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio”.
Mentre l’art. 34 (intitolato Sicurezza sociale e assistenza sociale) recita: “ l’unione riconosce il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e servizi sociali che assicurino protezione in casi di: maternità, malattia, infortuni sul lavoro, dipendenza o vecchiaia, perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le prassi nazionali; per ogni individuo che risieda o si sposti all’interno dell’Unione; al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà l’Unione riconoscere il diritto all’assistenza sociale e abitativa per garantire un’esistenza dignitosa a coloro che non dispongono di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le prassi nazionali”.
Un altro fenomeno è l’assenza di uniformità tra le regioni del Nord e quelle del Sud per quanto riguarda gli interventi nell’ambito dell’assistenza sociale, essendo stata lasciata l’autonomia agli enti locali nella scelta della spesa e relativa individuazione degli interventi assistenziali, penalizzando così fortemente il Mezzogiorno.
Così mentre la spesa media pro capite è di € 43 mensili, nella provincia di Trento è di € 105, mentre in Calabria di € 11.
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